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Chianti

Comuni di:

Barberino Val d’Elsa (FI), Castellina in Chianti (SI), Castelnuovo Berardenga (SI), Gaiole in Chianti (SI), Greve in Chianti (FI), Radda in Chianti (SI), San Casciano in Val di Pesa (FI), Tavarnelle Val di Pesa (FI)

Cartina Chianti
Mappa

«Vidi le valli di Pesa e Virginio, le magnifiche colline di San Casciano [...], le coltivazioni studiate, i bei siti [...]. Traversai da Passignano e Panzano nel Chianti, ritornando per Greve. Monti aspri e petrosi si vedevano disfatti coi zapponi, colle mine, e disposti in terrazze: e qui le viti di quel vino prezioso, che di bontà, forza e durata, agguaglia quello di Francia».
(Granduca Leopoldo II di Toscana, 1830)

 

Perfino al penultimo Granduca di Toscana - ultimo regnante - non sfuggì il valore straordinario di queste terre. Non elogiò il Chianti solo per la caratterizzazione geografica delle belle e produttive colline, ma ne esaltò anche la viticoltura.

La prima grande svolta avvenne a partire dal VII secolo a.C. con l’occupazione etrusca. Furono proprio loro, gli Etruschi, a favorire il passaggio da un’economia basata sulla pastorizia a una incentrata sull’agricoltura, in particolare sulla coltura della vite, proprio da loro introdotta. Le parole di Leopoldo II testimoniano infine - non che ce ne fosse bisogno - l’avanzata della modernizzazione agraria all’insegna della graduale specializzazione vitivinicola. Un fattore che incise anche sull’aumento della popolazione, tant’è che nel 1833 il Chianti contava quasi 44mila abitanti.

Quello che gli Etruschi introdussero, i Romani lo rafforzarono. E così la vocazione per l’agricoltura trovò un nuovo fronte di sviluppo nella coltura dell’olivo. Una trasformazione che condiziona anche l’uso e le funzioni degli spazi.

Il Chianti, infatti, cambia progressivamente il proprio aspetto ; e anche i castelli perdono la loro funzione militare convertendosi in grandi ed eleganti ville e fattorie. Un’attitudine, quella per la viticultura, che si conferma anche nella costruzione delle nuovo infrastrutture. A cominciare, guarda caso, dalle cantine seminterrate.

Del resto, nella maggior parte del territorio, le forme sono quelle tipiche del sistema della collina a versanti dolci, che costituiscono il supporto del paesaggio percettivo, insediativo e rurale tipico del Chianti.

Per tutte queste ragioni, il paesaggio chiantigiano rappresenta l’esempio più noto d’integrazione tra attività dell’uomo e ambienti collinari. L’equilibrio sostenibile rappresentato dal sistema agrario storico è un insegnamento i cui significati profondi, rispetto all’interazione tra popolazione, agricoltura e geomorfologia, hanno valore universale. Come tale, il paesaggio storico di questo territorio è un valore fondamentale, una produzioni di pregio frutto dell’ingegno umano applicato alla natura del territorio.

Dalla visita del granduca Pietro Leopoldo di Lorena (1773) emerge chiaramente come le specificità dell’economia fossero due: la presenza dell’alberata (con grano e vite) e, accanto alle fattorie, di innumerevoli proprietari coltivatori diretti e di molte famiglie di possidenti locali, occupati nell’allevamento e, come se non bastasse, nella lavorazione e nel commercio di seta e vino.

Ma per arrivare a questa consapevolezza, che si riconosce tutt’oggi nella caratterizzazione del territorio, occorre fare un passo indietro e guardare lontano. Anzi, lontanissimo. A cominciare da quei reperti eneolitici rinvenuti a Radda in Chianti (Casanova di San Fedele) che testimoniano la presenza delle prime popolazioni, riconducibili al ceppo celto-ligure.

Sappiamo che in epoca protostorica la presenza umana si registra sia sui terreni di bassa collina che in altura, attraverso villaggi di poche unità abitative fondati in aree strategiche per il controllo del proprio territorio. Occorre inoltre riconoscere che, fin dall’antichità, l’elemento che ha più condizionato le dinamiche di popolamento è stato quello della viabilità.

Il comprensorio chiantigiano conosce la sua prima occupazione a partire dal VII secolo a.C., quando gli Etruschi favorirono il passaggio da un’economia basata sulla pastorizia a una incentrata sull’agricoltura (in particolare la vite). Dalla fine del I secolo a.C. decadono le “case ricche” tipiche del paesaggio etrusco per lasciare il posto a ville e fattorie.

Poco più tardi si avvia il passaggio a un nuovo modello insediativo e socio-economico nel quale gli edifici religiosi diventano i primi elementi di aggregazione della popolazione rurale, mentre nel IX secolo si afferma un modello di gestione della terra legato all’azienda curtense.

L’ennesima fase di trasformazione edilizia e funzionale dei castelli avviene tra il XIV e il XV secolo: le residenze signorili diventano fortezze militari. Furono anni difficili. E solo nel 1555, con la presa di Montalcino da parte fiorentina e la definitiva sconfitta di Siena, il Chianti ritrova pace e tranquillità. Elementi necessari alla valorizzazione del territorio, a partire da una nuova organizzazione agricola imperniata sul sistema mezzadrile.

A ridosso del Novecento si compiono infine innovazioni che determineranno l’andamento economico e sociali del comprensorio chiantigiano: s’impiantano nuovi vigneti specializzati (a partire dalla fattoria di Uzzano) e si occupano pendii terrazzati o rimodellati dalle sistemazioni a spina; inoltre si potenzia l’allevamento dei bovini da latte, mentre s’introduce l’avvicendamento nelle coltivazioni industriali (barbabietole e tabacco).

Il nome del territorio assomiglia sempre di più a un aggettivo utile a inquadrare e determinare un paesaggio con quelle caratteristiche. Il tipico contesto del Chianti è fatto così: omogeneo, costituito prevalentemente da colline (nel settore centro occidentale) e da montagne (in quello orientale). Nel paesaggio della Toscana centrale, il Chianti rappresenta una massiccia struttura rilevata, circondata da aree decisamente più basse (bacini neogenici senesi, conca di Firenze, Valdarno di Sopra e Val d’Elsa).

Rispetto a queste aree, il Chianti riveste una funzione strutturale e percettiva di “monte”. Seguendo i punti cardinali, le differenze (anche climatiche) sono sono significative e concedono ai rilievi una funzione di separazione tra porzioni diverse del territorio regionale.

Il territorio collinare è attraversato dal fiume Greve, dai torrenti Ambra e Pesa e dal denso reticolo idrografico minore. Con il territorio di Barberino Val d’Elsa, l’ambito si estende anche al bacino idrografico del fiume Elsa. La matrice prettamente agricola del settore nord-occidentale e della pianura della Val di Pesa, con relittuali elementi forestali, continua nel restante settore collinare con un caratteristico mosaico di aree agricole e forestali, con dominanza della coltura della vite (soprattutto vigneti specializzati) e dei boschi di latifoglie termofile (querceti di roverella).

I Monti del Chianti fanno parte della struttura centrale dell’appennino e costituiscono la parte centro-meridionale della “Dorsale Abetone-Monte Cetona”. Spesso le linee sono controllate dal comportamento delle formazioni rocciose (quella del Monte Morello, la più diffusa, evidenzia notevoli variazioni).

Un aspetto specifico del rapporto tra uomo e paesaggio si ritrova anche nell’unica area protetta presente, sui Monti del Chianti, che comprende rilievi collinari e montani. L’evoluzione di tale legame si manifesta nella presenza di ex pascoli trasformati in arbusteti e prati. Dal punto di vista geologico, i Monti del Chianti sono stati un’area di riferimento per lo studio delle formazioni del Macigno e della Scaglia Toscana, che qui sono stati tipizzati dal punto di vista stratigrafico.

Negli ultimi cinquant’anni, inoltre, il Chianti collinare è stato interessato da estese conversioni da uliveto a vigneto e da sistemi viticoli specializzati. Trasformazioni, queste, che hanno implicato modifiche importanti nei sistemi di protezione del suolo e di gestione delle acque.

Il paesaggio è come una musa. Soprattutto quando attrae e regala bellezza. Ci sono paesaggi che tolgono perfino il fiato, regalando visioni inedite. Così è il Chianti: oliveti, vigneti, boschi, dolci colline, vitigni.

Per lo scrittore e disegnatore italiano Bino Sanminiatelli, nato a Firenze e morto a Greve in Chianti, l’equilibrio del paesaggio chiantigiano scarta la noia «fra orti, giardini e ulivi regolati dall’arte amabile del potare, si snodano sui colli vie così in pace che sembrano dimenticate, dove si procede fra meravigliose scoperte di cose sempre uguali e sempre impreviste». Così scrive ne “La vita in campagna”.

Un equilibrio colto che Telemaco Signorini ferma nel suo “Paesaggio toscano” del 1875 e che rivela una straordinaria quantità di lavoro e di conoscenze. Ma il paesaggio non è solo negli esterni, nei ritratti di vita campestre. Ci sono movimenti anche all’interno di spazi più definiti, come nelle ville che dialogano con natura. Luoghi dove passeggiare in assolata quiete, come in “Tra i fiori del giardino” di Silvestro Lega.

Le immagini del lavoro nei campi toscani sono innumerevoli. Una delle sua migliori rappresentazioni la offre il pittore livornese Ludovico Tommasi. È proprio questa complessa struttura agricolo-silvestre che sta alla base della bellezza del paesaggio chiantigiano, a svolgere ancora un fondamentale ruolo di tutela ambientale.

In una fotografia del giornalista e ambientalista Antonio Cederna, che fece del paesaggio tutelato una ragione di vita, si legge bene la struttura mirabile del Chianti messa a rischio dalla costruzione di una cementeria.

Ma non di sole fattorie e viti è costituito il Chianti dei preziosissimi (e noti) vini. A stimolare la creatività qua ci sono anche pievi, abbazie, terre murate, castelli, ospedali, mercatali, mulini e canoniche, oratori e santuari puntellano una rete fittissima di strade e borghi legati alle attività agricole e mercantili .

Tutti elementi che, pur presenti nel paesaggio, sono stati sottratti nell’acquerello che la pittrice Maria Teresa Mazzei Fabbricotti inserì nel suo “Album di memorie”, ambientato nella villa fattoria di Fonterutoli sulla via Chiantigiana. Qua il paesaggio è contratto in un’atmosfera azzurra; al centro, i cipressi e una quercia. Una trasfigurazione che si compie nella poesia e nel ricordo della gioventù felice, quando nemmeno avrebbe immaginato i colpi che il fascismo avrebbe inferto alla sua esistenza.